Sedicesimo e diciassettesimo giorno…
Una giornata intera di totale relax a casa di Suzanne, proprio quello che ci voleva!
Barstow è una città di “confine”: per chi arriva dalla costa pacifica (non è il nostro caso) è l’ultimo centro abitato; dopo c’è solo deserto, una distesa infinita per miglia e miglia. Fa un caldo torrido, davvero difficile da sopportare. Ecco perché abbiamo passato tutta la mattina e buona parte del pomeriggio in piscina.
Impossibile sopravvivere altrimenti… Ogni quarto d’ora, bisogna assolutamente tuffarsi in acqua!
Siamo solo noi tre: il marito di Suzanne è andato per qualche giorno in Nebraska. Così, non abbiamo da render conto a nessuno, solo a noi stesse.
Io ne approfitto per portare avanti il mio diario….
…mentre Margherita si diverte nell’idromassaggio!
Un bagno, un po’ di sole, un drink e un altro bagno. Che favola!
Chiacchieriamo, ridiamo e ci riposiamo. Suzanne ha energia da vendere ed è molto piacevole stare in sua compagnia. E poi, è così felice di averci qua e lo dimostra con grandi gesti di affetto.
Proprio un tesoro!
La sera, quando la temperatura è scesa di un paio di gradi, si esce a cena. Destinazione: un ristorante piuttosto bello, molto particolare. Quello che più ci sorprende è che la nostra cugina ha invitato altra gente del vicinato – saremo più di una decina – perché è troppo contenta della nostra visita, così ci vuole presentare a tutti.
Una seratona allegra e movimentata. Innaffiata da un ottimo vino rosso – Red Cat – che non dimenticheremo.
La mattina dopo, è già ora di ripartire. Richiudiamo le valigie per l’ennesima volta, non prima di aver ritirato dall’asciugatrice il nostro bucato (e’ incredibile quanto questi elettrodomestici siano efficienti e rapidi). Anche da Rita avevamo lavato i nostri vestiti e in un’ora era tutto fatto: puliti e asciutti.
Dire good-bye a Suzanne non è stato facile: baci, abbracci e lacrime…
Lei si è commossa tantissimo e così ci ha fatto piangere.
La salutiamo davanti al suo ufficio e – meste meste – ritorniamo a bordo della Buick per fare una breve visita a questa strana località arsa dal sole.
Una stradona con i negozi e intorno le solite casette, ma questa volta i giardini davanti alle porte sono aridi, sabbiosi e molto trascurati.
Del resto, qui nel deserto l’acqua costa moltissimo.
La temperatura, sempre più torrida, e tutti questi spazi giallo-paglia che ci circondano cominciano a disturbarmi un po’.
Non potrei mai vivere qui. L’arsura tutt’intorno ti divora, la natura in fin di vita ti deprime.
Forse in passato era diverso, l’atmosfera non era così decadente e inospitale.
A Barstow c’è un interscambio ferroviario che un tempo doveva essere importantissimo. C’è anche una costruzione enorme, proprio di fronte alla stazione, la “Casa del Desierto” con un’architettura sontuosa e ampi saloni eleganti all’interno. Una volta aveva un ristorante, una sala da ballo, e camere eleganti per i viaggiatori e i dipendenti.
Oggi, al suo interno, c’è uno dei tanti musei della Route 66.
Ha, in effetti, l’aria di un vecchio e prestigioso albergo in disuso. anche se la facciata è stata restaurata alla perfezione.
Il tutto stona terribilmente con il paesaggio circostante. Un altro edificio che sembra essersi materializzato in un contesto casuale e sbagliato.
Ma dove siamo?
Perplesse e stranite (questo caldo ultra secco, che non molla mai, è diventato quasi solido sopra la mia testa e pesa come un macigno), non vediamo l’ora di ripartire e concludere il nostro viaggio verso ovest.
Stasera arriveremo alla fine della Route, a Santa Monica; usciremo, una volta per tutte, da questa steppa insopportabile e, davanti a noi, apparirà all’orizzonte (finalmente!) l’oceano Pacifico…
Prima di allora, però, abbiamo un altro appuntamento: è con Nancy, la sorella di Suzanne, che ci aspetta a pranzo a Riverside, ai margini dell’immenso agglomerato di Los Angeles.
Lungo la strada, in una località sperduta che si chiama Oro Grande, ci appare all’improvviso la “Foresta delle Bottiglie“.
In pratica, un folle individuo- che non abbiamo avuto il piacere di incontrare – anni fa ha avuto l’idea di creare una specie di bosco fatto di strutture varie di metallo sulle quali ha agganciato – come fossero rami e foglie – migliaia di bottiglie dai colori più disparati.
L’effetto nel complesso non è male. Sparsi qua e là ci sono ferrivecchi e cianfrusaglie di ogni tipo. Mi sfugge completamente il senso di questa…”installazione”. Soprattutto, fa abbastanza impressione stare in un posto tanto assurdo, completamente sole, con le bottigliette che vibrano nel vento.
Non interessa a nessuno questa foresta?!
Abbiamo quasi la sensazione che, in realtà, l’autore di questo bizzarro progetto si stia nascondendo da qualche parte; magari in quel casotto di legno, tipo officina, che sta laggiù, in fondo a questo bosco sgangherato.
Dove sono i nostri affabili e rassicuranti vecchietti che in Illinois, Missouri e Oklahoma ci venivano incontro appena parcheggiata la macchina?
Visto che non compare anima viva a fare gli onori di casa, giriamo i tacchi e ce ne andiamo.
E anche a passo sostenuto.
La Route prosegue per San Bernardino, una località che Suzanne ci ha vivamente sconsigliato perché, a detta sua, infestata dalle gang dei narcotrafficanti.
E pensare che ci sarebbe, invece, piaciuto dormire stanotte nelle vicinanze – a Rialto – in un motel con le tende degli indiani di cui avevamo letto sulla guida.
Visti i possibili pericoli lasciamo perdere, ma un passaggio a San Bernardino lo facciamo comunque.
Il posto non ci fa una brutta impressione, anzi! E’ un centro piuttosto vivo e ben curato, con tanti negozi e ristoranti. Tutto sembra tranquillo.
Con alle spalle l’attraversamento di sette stati e il pernottamento in svariate località, alcune scelte all’ultima ora, ci chiediamo quante volte ci sarà capitato di fare sosta in luoghi non proprio raccomandabili, ma che – a prima vista – erano sembrati sicuri e ospitali.
Non lo sapremo mai…e forse è meglio così!
L “Adventure Handbook” – il nostro principale punto di riferimento – non ci ha mai messo in guardia. Per l’autore, evidentemente, tutti i paeselli della Route (comprese le “ghost-town”) sono “safe”.
Alle tre del pomeriggio arriviamo a Riverside. Nancy ci aspetta nella lobby del Mission Inn, un hotel molto esclusivo dove si respira un po’ di storia americana: ci sono i ritratti di tutti i presidenti che hanno alloggiato qui, moltissimi!
Ci sediamo fuori, nel patio pieno di fiori. Splendido come lo ricordavo.
Con Nancy
Eravamo qui con Nancy e il marito Robert un luglio di tre anni fa.
Tre “Caesar Salad“, con altrettante birre, e una grande fetta di torta al cioccolato in condivisione.
Nancy è stata carinissima, abbiamo scherzato e riso tanto.
E anche con lei, è arrivato il momento di salutarci. Ci ha consigliato di aspettare che si smaltisse il traffico dell’ora di punta prima di rimetterci in viaggio, e così abbiamo fatto.
Ho messo in chiaro con Margherita che, da oggi in poi, non mi alternerò MAI PIU’ con lei alla guida. Con le freeways di Los Angeles non voglio avere NULLA a che fare, non sono all’altezza della situazione.
Resto con i miei bei ricordi: stradine strette con la riga gialla al centro, qualche macchina che passa ogni tanto…e basta!
Sulle autostrade di L.A. c’è da diventare matti: ti superano da tutte le parti, ti sorpassano, poi bruscamente si reinseriscono di nuovo, a pochi metri davanti a te.
Tutti vanno a una velocità supersonica. E questo, nonostante in California il limite sia più basso che in altri stati e malgrado i continui cartelli che minacciano misteriosi controlli radar. Anche mettendo la freccia cinque minuti prima di imboccare un’uscita, nessuno ti consente di cambiare corsia in tempo utile.
Così, ci affidiamo al nostro gps che ci annuncia con largo anticipo le direzioni da prendere.
Il traffico è impossibile, sono tutti nevrotici. A confronto, guidare a Milano è una passeggiata, quasi si rischia di morire di noia.
Tentiamo un’uscita a Pasadena e per fortuna riusciamo a sganciarci dalla freeway. Passeggiamo nel centro con le luci della sera. Bel posto…col senno di poi, avremmo dovuto fermarci qui per la notte!
Invece, puntiamo su Santa Monica, ma arrivate là non c’è verso di trovare una stanza. Tutti gli alberghi e i motel sono al completo.
La ricerca durerà a lungo, finché – rassegnate – ci spingeremo fino a Marina del Rey, dove – all’una di notte passata – non ci sarà altra scelta che spendere un botto (270 dollari!) per una doppia al Jamaica Bay Inn…che rabbia!!!
In più, scopro alla reception che la mia carta di credito ha superato il tetto massimo di spesa.
Forse mi sta dicendo che è ora di tornare a casa…